Maidan, Un film per raccontare la rivolta

Maidan, Un film per raccontare la rivolta

Presentato in questi giorni il film di Sergei Loznitsa, un documentario per raccontare i mesi della rivolta.

Sergei Loznitsa ha in questi mesi ripreso il Maidan, dall’entusiasmo dei primi giorni, fino agli scontri degli ultimi mesi, fino alle dimissioni del presidente dello scorso 22 Febbraio. Il documentario ed il regista sono stati presenti i primi di Dicembre al Festival dei Popoli di Firenze.

Chiara la posizione sulla protesta del regista ucraino, classe 1964, una laurea in matematica applicata al Politecnico di Kiev ed ora residente in Germania. «Quando sono giunto sul posto non sapevo ancora di voler girare un film, ma ho capito subito che lì si stava scrivendo la Storia e che il regime di Yanukovich era condannato». La macchina da presa di Loznitsa si pone davanti alla gente, che fa a gara per coordinare la protesta, aiutare nelle cucine e nelle infermerie fino allo spegnersi delle attività, quando si dorme tutti insieme, sfidando il gelo. Spesso, in sottofondo, si sente una Bella Ciao cantata in ucraino. «Ho avvertito immediatamente un forte senso di solidarietà e cameratismo, una sensazione di fraternità che mi ha completamente sorpreso. Ero molto fiero e felice di far parte del risveglio di una nazione. Purtroppo non mi sono potuto trattenere a lungo per impegni pregressi di insegnamento in Europa, ma il mio direttore della fotografia, Serhiy Stetsenko, mi inviava le immagini costantemente via Internet. Ho cominciato a lavorare al film alla fine di gennaio quando il dramma era ancora in svolgimento e alla fine di febbraio, quando Yanukovich è scappato, avevo il finale del mio film».

Novanta giorni di rivoluzione divisi in quattro parti: prologo, celebrazioni, battaglia e post scriptum, in cui la gente impara a far la guerra, improvvisando barricate, sassaiole e spari. «Stetsenko, come si vede dai movimenti bruschi della macchina da presa nel primo degli scontri, ha corso reali pericoli per la sua incolumità. Io no. Era lì in dicembre quando l'atmosfera era più quella di un carnevale, anche se la situazione era comunque nervosa, in attesa delle cariche della polizia».

Il Maidan ora è tornato alla normalità ma rimane un monito. Il documentario, passato con buona critica allo scorso festival di Cannes, è girato con inquadrature fisse e lunghi piano sequenza. Non c'è interazione con i protagonisti, ma il regista si schermisce dal definire il suo lavoro come oggettivo: «Sia nel documentario che nella fiction conta l'idea del regista, il suo punto di vista e la sua volontà. «Una grande fonte di ispirazione per me sono state le pellicole di Pier Paolo Pasolini. Ne ho appena visto la retrospettiva completa: i suoi film sembrano contemporanei. Assieme a Pasolini ho una lunga lista di registi che ammiro, da Dovzhenko a Vertov, da Bresson a Bunuel, da Dreyer a Hitchcock. Il cinema è un'arte giovane, abbiamo moltissime scoperte davanti a noi».
Maidan è il 14º documentario di Loznitsa (un altro è in lavorazione) dopo due film, My Joy (2010), racconto degli abusi di potere e della violenza in Ucraina attraverso la parabola di un tassista, primo film ucraino ospitato in competizione a Cannes, e Anime nella nebbia, premio Fipresci nel 2012 sempre sulla Croisette, in cui un uomo viene accusato ingiustamente di collaborazionismo durante la Seconda guerra mondiale. La prossima pellicola, Babi Yar, non si discosterà dal tema raccontando l'Olocausto in Ucraina nel 1941, durante i primi mesi dell'occupazione tedesca.